“And the Oscar goes to…”: gli Oscar 2019

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La 91esima edizione degli Oscar si avvicina sempre più tra diserzioni, polemiche e pronostici imprevedibili. L’unica certezza? L’appuntamento: domenica 24 febbraio al Dolby Theatre di Los Angeles.

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Una rassegna in cerca di un presentatore…

Per la prima volta in 30 anni la rassegna più attesa dai cinefili di tutto il mondo non avrà un presentatore: il prescelto, l’attore e comico Kevin Hart, ha disertato a causa dell’ennesimo polverone mediatico. Pare, infatti, che tra il 2009 e il 2011 si sia reso autore di una serie di Tweet omofobi.

TAGLI alla cerimonia

Ha catalizzato l’attenzione la trovata dell’Academy di tagliare di un’ora la durata della cerimonia, premiando le categorie “miglior trucco”, “miglior fotografia”, “miglior montaggio” e “miglior cortometraggio live action” durante la pausa pubblicitaria. La motivazione principale di tale azzardo sarebbe stata da imputare al drastico calo di ascolti.

La reazione dello star system non si è fatta attendere: una lettera aperta firmata da numerosissimi direttori della fotografia, registi e attori ha spinto John Bailey (presidente dell’Academy, ndr) a ritornare sui suoi passi.

Le nomination

Le candidature sono state annunciate dagli attori Kumanil Nanjiani e Tracee Ellis Ross il 22 gennaio scorso. Tra le pellicole più “nominate” figurano: “Roma” di Alfonso Cuarón e “La favorita” di Yorgos Lanthimos a pari merito, con 10 candidature ciascuna; seguono la chiacchieratissima “A Star is born” e “Vice”, entrambe con 8 candidature all’attivo.

https://www.facebook.com/TheAcademy/posts/10155830560516406

Considerazioni

Sarebbe parso ironico consegnare l’Oscar per il “miglior montaggio” nell’affettato tentativo di “montare” i momenti “secondari” della liturgia: un teatrino meta-cinematografico antitetico al portato formativo della Settima arte.

Ciò, per quanto ilare, cessa di essere un dettaglio ripensando alla crociata contro Hart. Ritorna così il pensiero del #MeToo, fattosi poltergeist del morbo “politically correct”: le aspettative, pertanto, non possono essere scevre dell’infallibilità del dogma di “Mary Sue”.

Chissà che quella lettera non sia una breccia nel MURO di buonismo caro a Hollywood e il monito di chi nell’arte ci crede ancora.

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