Il senso di responsabilità all’epoca dei social network

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Se siete nati tra gli anni ’80 e ’90, avrete sicuramente vissuto sulla vostra pelle la nascita dei social network. Con altissime probabilità, infatti, avevate almeno un profilo MSN o eravate assidui frequentatori dei primi blog, gli antecedenti storici di Tumblr e Facebook; cominciando ad interfacciarvi con quella nuova realtà vi sarà capitato di farvi amici, di condividere passioni e hobby con persone vicine e lontane, ma anche – purtroppo – di osservare o provare sulla vostra pelle l’altrettanto nascente cyberbullismo. Se infatti da un semplice commento o da una foto potevano scaturire complimenti e conoscenze inedite, vi erano altrettante possibilità di incorrere in osservazioni e frasi caustiche, insulti e prese in giro. Con l’avvento di Ask e Facebook, grazie all’anonimato offerto dal primo e la possibilità di creare profili fake sul secondo, l’evoluzione di questo spiacevole fenomeno è stato inevitabilmente esponenziale. Numerosi i suicidi che hanno fatto parlare di sé, facendo quindi insorgere il problema d’una regolamentazione dei social e di penalizzazione di atti e fatti illeciti svoltisi su Tumblr ed affini. Problema ancora vivissimo, purtroppo, visto che solo ultimamente ha cominciato a prendere piede la santa querela ed il verificarsi di serie conseguenze nella vita reale in seguito a parole malvagie e diffamatorie sparse sul web. L’impulso a queste novità è stato dato dalla classe politica presente oramai in maniera estremamente (forse troppo, direi) assidua su qualunque social network, da Twitter a Facebook, fino ad arrivare al recente Tik Tok.

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Il clamore generato dalla lotta di Greta Thunberg è stato, sin dagli albori, tanto marcato da renderla il capro espiatorio favorito della classe dirigente nostrana e non, come dimostra il post del consigliere bolognese Bosco

Ma quali misure possono prendere le persone comuni presenti sul web?

Perché parliamoci chiaro, un adolescente di 16 anni non è un politico. Non è un uomo fatto e finito, dotato di una forte personalità, in grado di discernere i commenti costruttivi da quelli meramente distruttivi, fatti al solo scopo di ferire il destinatario. Se un avvocato può reagire ad una valanga di insulti nati da una sua azione sui social tramite querela, al fine di preservare la propria immagine professionale e personale, un normale ragazzo che si ritrova travolto dalla stessa cascata di parole potrebbe prima di tutto ricorrere ad atti estremi.
Ovviamente la distinzione adulto-adolescente è fine a se stessa; appare infatti chiaro che la debolezza di un individuo spesso è scissa dall’età anagrafica.

Perché il punto è proprio questo, nel mondo vi sono persone più e meno forti. E non mi riferisco solo ai tratti caratteriali, ma alla posizione sociale occupata da ciascuno di noi; posizione che sul web va ad essere ampliata notevolmente o altrettanto ridotta, essendo i social delle vite parallele che ognuno di noi ha in uno spazio parimenti parallelo. Di conseguenza, un commento malvagio della sottoscritta, una studentessa universitaria seguita sui social nemmeno dalla propria madre, lasciato sotto la foto di un’altra persona (sia essa dotata di fama e prestigio, sia essa tanto anonima quanto me) sarà sicuramente di pessimo gusto, e probabilmente potrà ferire in qualche modo quest’ultima, soprattutto se coralmente ad altri mille individui come me. Ma cosa accadrebbe se un’azione del genere fosse realizzata da un rappresentante delle Istituzioni, seguito da milioni di persone, allo scopo di ridicolizzare pubblicamente un debole – magari minorenne – prima di lasciarlo in pasto ai propri follower?

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In un discorso da lui tenuto durante la campagna elettorale del 2016, Donald Trump umiliò un giornalista disabile proponendone una sconsiderata imitazione

Sì, la vittima potrebbe denunciare il suddetto rappresentante. Probabilmente anche vincere qualche misero risarcimento in danaro. Ma servirebbe a qualcosa? Potrebbe in qualche modo risanare il dolore di svegliarsi una mattina sapendo d’essere stato umiliato in un comizio dal Presidente degli Stati Uniti d’America per poi trovare addirittura il video dell’eroico Trump su qualunque social? Una querela è in grado di cancellare gli insulti razzisti e le accuse di spaccio rivolte da un ex Ministro e dai suoi milioni di seguaci? E’ sufficiente a far scordare a tutti l’indirizzo dove abita la vittima, per evitare che essa possa essere oggetto sia di scherzi che di possibili atti di presunta giustizia privata?

La risposta, purtroppo, è no.

E chiunque abbia potere su Internet, chiunque sia in grado di influenzare (sì, il discorso è ampliabile perfettamente a tutti gli influencer attualmente operanti sul web) una massa di persone, non può e non deve approfittarsi della propria posizione dominante a danno di altri.

Articolo di Martina Prisco

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