#UiFlashback: 19 ottobre 202 a.C – La battaglia di Zama

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La battaglia decisiva tra Roma e Cartagine, in guerra da decenni per il controllo del Mediterraneo, si svolse a Zama il 19 ottobre del 202 a.C.

A fronteggiarsi quel giorno furono due condottieri tra i più grandi del mondo antico: Annibale Barca e Publio Cornelio Scipione.

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Annibale soprannominato “il barcide”, dopo aver valicato le Alpi con un intero esercito e un reparto di elefanti, impresse il suo nome nella storia sbaragliando le legioni romane in quattro battaglie: Ticino, Trebbia, Trasimeno e Canne. Quattro sconfitte clamorose che furono quattro autentiche carneficine.

Dall’altra parte, il giovane ma geniale Publio Cornelio Scipione, cui il senato romano aveva affidato le sorti della “Res publica” in uno dei momenti più critici della sua storia.

Stando ai testi di Polibio e Tito Livio, lo schieramento romano poteva contare 30.000 fanti e 6.000 cavalieri, più la cavalleria Numidica capeggiata da Massinissa, re della Numidia passato dalla parte dei Romani durante la guerra.

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Lo schieramento cartaginese poteva contare 46.000 fanti e 4.000 cavalieri. Annibale era consapevole del fatto che la sua cavalleria non era in grado di vincere su quella numidica. Fu così che il comandante cartaginese decise di puntare tutto sulla fanteria schierata al centro. Inoltre, egli puntava molto sull’impatto che gli 80 elefanti avrebbero potuto avere sulla piana di Zama. Il barcide pose tre linee dietro agli elefanti: la prima fu composta da mercenari, la seconda da fanti punici, e la terza dai veterani reduci dalla campagna italica.

Dal canto suo, Scipione optò per il classico schieramento formato da “hastati”, “principes” e “triarii lasciando però tra i ranghi una serie di varchi in modo da permettere il passaggio degli elefanti in corsa, così da potere contenere i danni provocati dalle loro cariche.

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Lo scontro ebbe inizio con la carica degli elefanti di Annibale, i quali vennero subito messi fuori gioco dai soldati romani che li spaventarono suonando le trombe. L’effetto fu devastante: i pachidermi, imbizzarriti, anziché puntare verso il centro si gettarono contro la cavalleria cartaginese, la quale durante la confusione fu sbaragliata dalla cavalleria capeggiata da Massinissa. Gli altri elefanti non ebbero maggiore fortuna visto che i velites romani li aggredirono con frecce e lance.

Dopo aver annientato il reparto di elefanti e mentre la cavalleria stava inseguendo la cavalleria cartaginese in rotta, Scipione provò ad accerchiare l’avversario. Tuttavia, la sua manovra non ebbe successo perché Annibale aveva schierato i suoi veterani in linee sottili ma lungo un fronte molto ampio.

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Fu allora che Scipione, che conosceva le tattiche di Annibale avendole fatte sue (tra l’altro migliorandole), per non ritrovarsi accerchiato, decise di cambiare il suo schieramento assottigliando i ranghi e allungando il fronte per poi gettarsi sul nemico.

La mischia che seguì fu molto accesa, e per molto tempo l’esito dello scontro fu incerto, entrambe le fazioni potevano aggiudicarsi la vittoria, ma la battaglia fu determinata dal ritorno della cavalleria numidica, che colse i Cartaginesi alle spalle: nuovamente accerchiato, e senza via di scampo, l’esercito di Annibale venne completamente annientato.

Per questa impresa Scipione fu accolto a Roma come un trionfatore e ricevette, a perpetua memoria, il soprannome di “Africano”.

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