Il Giappone tra sessismo e mos maiorum

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Dalle frasi di alcuni esponenti del governo Abe, fino allo scandalo dei test di medicina dell’università di Tokyo: l’araba fenice del sessismo “risorge” sui mass media giapponesi e lo fa nel 2018.

Sessismo o tradizione?

Il paese del Sol Levante è celebre per il profondo attaccamento alla tradizione: i dettami del Confucianesimo vedevano la donna subalterna della figura maschile di turno. Il suo compito era dare alla luce bambini e soprintendere al focolare domestico. Nel secondo dopoguerra una rinnovata costituzione pareggiò i diritti di donna e uomo solo “sulla carta” facendo però persistere nella mentalità nipponica retaggi marcatamente sessisti.

Sembra quasi che la tradizione sia divenuta poi il pretesto per legittimare un modo di pensare gretto e retrogrado. Sono più numerose, infatti, le personalità di spicco che dal pulpito del mos maiorum si pronunciano con toni sprezzanti sul “sesso debole”.

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Lo stile “Yamato Nadeshiko” ossia come dovrebbe essere la donna ideale: per la cultura giapponese è simbolo di grazia ed eleganza, da parte di una donna, celare forti reazioni emotive, come una risata.

La timeline

Ancora bruciano le parole dello scorso maggio di Koichi Hagiuda, esponente del governo Abe, secondo cui :

“I bambini al di sotto dei tre anni preferiscono la mamma e quindi le donne dovrebbero stare a casa con i loro figli”.

Ad esse si accompagnano quelle di Kanji Kato, del Partito Liberal Democratico, il quale suggeriva alle giovani coppie una progenie di tre bambini.

L’indignazione si è acuita nel mese di agosto, quando il quotidiano “Yomiuri Shimbun” ha denunciato l’alterazione dei test di ammissione alla Tokyo Medical University. Un costume diffuso dal 2011 a detta di molti, il cui scopo era far sì che la percentuale delle studentesse fosse inferiore al 30%.

Quanto è giusto seguire il costume degli antenati?

La lodevole presa di posizione del popolo nipponico su Twitter mette in luce la distanza abissale del Giappone dalla totale emancipazione femminile. Appare anzi paradossale che tale locus amoenus abbia talmente poco riguardo per le donne da permettere il crollo repentino del tasso di natalità.

Le testimonianze di donne vessate sul lavoro a tal punto da licenziarsi spingono a chiederci quanto sia corretto perseguire principi spesso anacronistici poiché tradizionali. È un fenomeno di chiusura mentale transnazionale, che prescinde dal progresso o dalla ricchezza: il pregiudizio incarna il minimo comune denominatore tipico delle realtà umanamente oppressive ed omogeneizzanti. I retaggi culturali che l’Italia si trascina anche al di sotto del Tacco ne rappresentano un ulteriore esempio.

Il labile confine tra mos maiorum e lesione del diritto di autodeterminazione può essere inquadrato nello “strappo nel cielo di carta” di Pirandello. Come Oreste, tutti siamo chiamati a rispettare dati comportamenti o costumi, ma sta all’intelligenza di ciascuno discernere ciò che è giusto da ciò che è conveniente.

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