L’Italia affonda e il mondo ride: ma per quanto, ancora?

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E nonostante nessuno si aspettasse sarebbe successo veramente, siamo chiusi in casa. Ci è stato richiesto di sacrificare alcune delle libertà fondamentali, alcuni dei principi più importanti della nostra Costituzione, per salvaguardare noi stessi ed il bene comune. E noi l’abbiamo fatto, aldilà di alcune eccezioni.

Abbiamo abbassato la testa, rinunciando all’aria e al sole, agli amici, agli affetti, a quelle che per molti sono le uniche fonti di denaro, col rischio di non arrivare a fine mese. Ci siamo ingegnati per reinventare e reinventarci, adattando la nostra vita ai tempi del Coronavirus: nuovi metodi per lavorare da casa, nuovi modi di coltivare i rapporti, nuove strategie per confortarci a vicenda, senza badare a chi sia l’altro. Amico o sconosciuto, ormai condivide la nostra stessa situazione. Per cui, che differenza fa?
Siamo uniti dalla stessa speranza: che passi. E che le conseguenze non ci mettano in ginocchio, nonostante molte persone siano già spezzate dalla perdita dei propri cari e dalla paura, visto il crescente numero delle vittime.

Ma se questa è la drammatica situazione in Italia (perché sì, alcune cose potranno donarci ottimismo, ma sempre di tragedia stiamo parlando), come se la starà cavando il resto del mondo?
Come potrete immaginare, non bene. Anzi, decisamente male.
Le accuse di omissione di dati mosse a molti Paesi europei appaiono essere perfettamente fondate.
Senza menzionare la comédie française, per cui prima i nostri carissimi vicini si sono permessi di accusarci di prendere precauzioni esagerate, definite in seguito inefficaci e poi pedissequamente imitate giunti ad una emergenza sanitaria fatta di tende fuori dagli ospedali. O ancora, l’incredibile intervento del Primo Ministro britannico, che, dopo aver tranquillizzato il popolo, gli ha caldamente consigliato di abituarsi a perdere i propri cari. Limitando, poi, qualunque genere di aiuto sanitario, anche se hai 22 anni, 39 di febbre da giorni e la tosse. Ma tanto sei giovane, a che ti serve il tampone.

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Eppure, lo Stato di cui si sta parlando meno, nonostante sia forse quello messo peggio, non è in Europa, ma in America: parliamo degli Stati Uniti.
Ho letto l’articolo di Alice Speri pubblicato su “The Intercept” e sono onestamente rimasta sconvolta.
Diamo per scontate cose che in altre Nazioni, a quanto pare, tanto ovvie non sono. Quando sono state chiuse le scuole in Italia si è un po’ storto il naso, ma per ragioni molto semplici: l’avviso emanato alle 18 non ha dato la possibilità a tutti i lavoratori di organizzarsi con i servizi di baby sitting ma, soprattutto, molti hanno alzato il sopracciglio perché non ancora consci della gravità della situazione. Cosa ad oggi invece ben chiara, per cui la scelta è approvata e condivisa dalla maggior parte (se non dalla totalità) degli Italiani.

Nessuno ha alzato la mano dicendo: “Ragazzi, ma mio figlio se non va a scuola non mangia, perché non ho i soldi per nutrirlo”. Questo perché non siamo abituati ad affidarci alle mense per i pasti, ma soprattutto perché abbiamo livelli ben diversi di povertà, rispetto agli USA.
Quando qui in Italia si è accennato alla possibilità che, in caso di crisi degli ospedali, si sarebbero compiute scelte sui pazienti da trattare, c’è stata la rivolta popolare. Perché siamo avvezzi a calcolare un’equazione molto semplice: sto male = gli ospedali mi curano gratuitamente. Senza se e senza ma. Negli USA? Le persone assicurate vengono aiutate. Gli altri no. E i sotto o non assicurati sono tantissimi visti gli elevati costi. Senza menzionare il fatto che le epidemie, di base, non sono coperte; questo perché il contagio di uno presuppone il contagio di mille, e ciò comporterebbe il fallimento della compagnia assicurativa. Per cui, i tamponi sono a pagamento. E non parliamo di spicci, ma di migliaia di dollari.

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Noi Italiani, poi, ci lamentiamo sempre del nostro Governo. Ci lamentiamo del fatto che non si faccia nulla, e critichiamo qualunque azione venga invece compiuta. Senza guardare bene a quali siano gli intenti, le motivazioni, i problemi. Beh, come vi sareste sentiti voi ad avere un Capo di Stato che, invece di investire (finalmente) in ricerca e sviluppo per trovare un vaccino, decide di incrociare le braccia e offrire dei soldi per comprare il lavoro altrui, sottraendo ad altri Popoli la possibilità di curarsi per poterci fatturare sopra?

Io, sinceramente, mi sarei vergognata d’appartenere al mio Paese.
D’appartenere ad uno Stato che privilegia i ricchi e lascia indietro i poveri. E no, ragazzi miei, nonostante le contraddizioni in cui sguazza l’Italia, la situazione non è la stessa
.

Siamo un popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori. Siamo un popolo di persone che si offrono di fare la spesa agli anziani, di pagare la cena ai medici, di cantare dai balconi per farci forza a vicenda.
Noi non mettiamo i soldi davanti alle persone.

Articolo di Martina Prisco

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