Scuola: dov’è finita?

Miur

Siamo alle solite. In tempi di crisi o per meglio dire, nell’era della manipolazione mediatica tendente all’avvilimento delle masse, uno dei settori pubblici più colpiti dai tagli e trascurati dai piani governativi rimane l’istruzione. O dovremmo dire “istruzione”?
Cosa rappresenta davvero oggi questo termine? Per molti rimane, semplicemente, l’apprendimento programmato di date nozioni senza alcuna interconnessione fra di esse. Una pagella con una sfilza di buoni voti che, una volta accumululatone in una certa quantità, il tuo istituto superiore di riferimento decide di premiarti con un diploma. Congratulazioni, (ragionier) Fantozzi!

Buffo, no? Purtroppo conviene declinare la questione sul lato tragicomico, poiché la realtà risulta ben più amara. E allora diamo un’occhiata, insieme, a qualche dato: vogliamo parlare dell’informatizzazione, della multimedialità delle scuole? Bene. Anzi, male; poiché soltanto il 7% delle aule italiche, circa 12.000 su 180.000, possiede un pc operativo; percentuale che crolla al 2%, ossia 3500 classi sul totale sopracitato, se ci riferiamo alla dotazione di tablet.

Una riforma, quella della “dematerializzazione” dell’istruzione, promulgata con decreto dal MIUR nel lontano Novembre 2012. In teoria, la manovra sull’Istruzione sarebbe dovuta concludersi entro la fine del 2013. Ma se il CENSIS proclama che nell’anno 2013/2014 il 25,3% degli studenti di terza media, unitamente al 17,9% dei ragazzi di terzo superiore, non possiedono una rete di connessione a banda larga nel proprio Istituto, di cosa stiamo parlando? Cos’è stato fatto non in un anno ma addirittura tre, per migliorare la salute ormai moribonda del complesso scuola italico?

In realtà, gli unici strumenti vigenti ed efficaci programmati nei piani alti di viale Trastevere sono l’iscrizione on-line ed il registro elettronico. Ma non senza qualche difetto. Perché se è vero che l’iscrizione informatizzata ha raggiunto il target prefissato con un 98,9% sul totale di esse, lo stesso non si potrebbe dire per il secondo artefatto multimediale.
Quest’ultimo infatti vanta percentuali considerevoli del 78% nelle Marche ed Emilia-Romagna; mentre per l’Italia Meridionale scendiamo a quote ben più esigue: il 45% in Calabria e Sardegna. Il solito divario del Bel Paese fra il nord e il sud.
Ma insomma, tra le tante “vittorie mutilate”, è giusto anche citare il risparmio complessivo ottenuto dal MIUR di 785 milioni di euro, rapportando il costo odierno della macchina scolastica a quello sopportato nell’anno 2011.

E’ dunque il fallimento della scuola digitale 2.0? A rincuorare gli animi arriva il #PianoScuolaDigitale presentato dal Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. Si parla di dotare ogni istituto di un “animatore digitale”, congiuntamente ad un profilo web che inquadrerà determinate caratteristiche di allievi e docenti. Senza dimenticare poi la beneamata connessione a banda larga; il cablaggio W/LAN delle strutture didattiche; un’assistenza tecnica per le scuole primarie ed altri obiettivi delineati nei 35 punti del documento attuativo della “Buona Scuola”. E i costi? 1 miliardo. Si parla di 600 milioni da destinare alle infrastrutture e 400 dedicati alla formazione e monitoraggio del personale interessato.

Abbiamo iniziato la descrizione di questo scenario interrogandoci sul reale significato della parola ” istruzione”. Ad oggi questo sembra significhi una cyber-scuola, dove quel che conta è, appunto, la digitalizzazione del sapere. Ben venga, allora, se questo comporta ingenti risparmi per le casse governative. Ma il nocciolo duro del tema non è certo questo.
Io penso che l’istruzione sia, prima di tutto, formazione. Anni di vita importantissimi per noi ragazzi, dagli 11 ai 19, sono completamente assorbiti da un sistema che non tiene conto delle diversità di ognuno, delle singole qualità che fanno di noi pezzi unici e irripetibili. Un sistema che giudica per parametri sempre costanti, mai mutevoli; con docenti, a volte, totalmente impreparati nel gestire la formazione dello studente in sé perché non sono competenti neanche loro. Il mestiere dell’insegnante è uno dei più difficili d’attuare: può determinare il percorso di vita che andremo ad affrontare una volta usciti dagli istituti superiori.

Non dico che non dobbiamo tener conto del progresso tecnico, dell’adeguamento ai tempi moderni o della qualità costruttiva delle infrastrutture scolastiche. Tutto è bello, tutto è positivo e necessario affinché l’Italia sia competitiva con gli standard neanche più europei, ma ormai globalizzati e quindi mondiali. Quel che voglio affermare è che l’attenzione dei plessi formativi dovrebbe essere mirata a lasciar esprimere il proprio estro, per poi indirizzarlo verso un percorso in linea con le sue aspirazioni. E’ inammissibile che la domanda ” E adesso? ” sia quella più ricorrente nei nostri diciannovenni diplomati.
Perché un sistema più efficiente, che guidi gli studenti nelle loro aspirazioni personali, significa un risparmio di tempo considerevole per loro. Tempo che viene dedicato ad altre attività, che rendono loro molto di più. E allora si hanno idee più chiare, competenze più solide, maggior preparazione teorico-pratica rispetto alla figura lavorativa che si andrà a rivestire in futuro.
Ed è un concetto che va oltre al risparmio temporale, perché parliamo di una vita migliore per tutti.
Ma per fare questo, è necessario che sia tutta la struttura Stato-società ad operare per la realizzazione di questo sogno… Forse un po’ utopistico.
Ma comunque, in chiusura:

“Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”
Albert Einstein

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