Protesta pastori sardi. Analisi economica

La protesta dei pastori sardi è dovuta alla bassa remunerazione “alla stalla” del latte di pecora utilizzato per la produzione del pecorino romano.

Il prezzo pagato dai proprietari dei caseifici, è di 60centesimi al litro; i pastori chiedono un euro.

L’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare ndr) ha accertato che i pastori sardi perdano 14 centesimi al litro nonostante il settore produttivo in questione sia sostenuto da premi. Già un anno fa il prezzo del latte alla stalla era sceso sotto il costo di produzione (74 centesimi al litro).

Il problema è racchiuso nel crollo delle esportazioni di pecorino romano nel nostro mercato di riferimento, gli Stati Uniti.

Il pecorino romano, secondo i dati Ismea, è destinato per il 42% negli Stati Uniti, per il 39% in Italia e per il 19% in Paesi europei ed extra Ue. A causa di una forte diminuzione della domanda da parte degli Stati Uniti abbiamo riscontrato importanti disallineamenti nel mercato nostrano.

Cosa vogliono i pastori sardi?

I pastori sardi non chiedono più premi con i quali coprire la produzione sottocosto e fare profitto; vogliono sostentarsi con il prodotto della loro imprenditorialità e del loro lavoro e non rendere questo un mezzo per ottenere più trasferimenti. Troppo spesso si legge, anche nei bilanci della produzione industriale, la voce “Contributi in conto esercizio” o “Contributi in conto capitale“. Queste voci stanno ad indicare integrazioni finanziarie, spesso a tassi agevolati ma tal volta a perdere, ai costi o agli investimenti delle imprese. In particolare nel settore industriale queste sono diventate necessarie per il rinnovo di linee di produzione obsolete.

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